La situazione che descrivi è decisamente complessa e intreccia questioni legali con aspetti morali e relazionali. Proviamo a fare chiarezza.
Se A decidesse di raccontare a D ciò che ha appreso da B, bisogna considerare alcuni aspetti fondamentali. Innanzitutto, B ha scelto liberamente di confidare quei fatti ad A, quindi non si può parlare di un’informazione rubata o ottenuta in modo illecito. Tuttavia, la questione non è così semplice. Anche se ciò che A potrebbe dire fosse vero, non è detto che la comunicazione sia priva di rischi.
In ambito legale, un’accusa di diffamazione può sorgere se il racconto ledesse la reputazione di qualcuno in modo ingiustificato, anche nel caso in cui i fatti siano veri. È fondamentale il contesto: come e perché queste informazioni vengono divulgate? Un conto è raccontare una verità per proteggere qualcuno, un altro è farlo con intenzioni che potrebbero essere percepite come vendicative o dannose. Allo stesso tempo, bisogna considerare che rivelare aspetti della vita privata di B e C potrebbe configurarsi come una violazione della loro riservatezza, soprattutto se le informazioni non sono strettamente rilevanti per D o se provocano un danno concreto.
Per quanto riguarda le minacce legali dei genitori di B, sembrano più un tentativo di dissuadere A che una reale azione basata su solidi presupposti giuridici. È difficile immaginare quale tipo di azione legale potrebbero intraprendere, soprattutto considerando che B stesso ha scelto di condividere quei fatti con A in modo volontario.
In definitiva, prima di decidere di raccontare tutto a D, A dovrebbe riflettere attentamente sulla necessità di farlo e sulle possibili conseguenze, sia per sé che per le altre persone coinvolte. Un approccio rispettoso e ponderato, magari accompagnato dal parere di un avvocato, potrebbe aiutare A a capire come muoversi senza incorrere in rischi inutili. Raccontare una verità è un diritto, ma va sempre bilanciato con il rispetto per gli altri e con il buon senso.